Dieci minuti di libertà sotto lo sguardo di mamma
Mio fratello mi aveva fatto un regalo speciale: un monopattino di legno. Lo guardavo come si guarda un sogno con le ruote. Era il mio primo mezzo di trasporto, il primo oggetto che prometteva movimento, avventura, autonomia.
Chiesi a mamma se potessi usarlo in casa. La risposta fu secca: “No. Si rigano i pavimenti, ho appena passato la cera.”
Mi sedetti accanto al monopattino, con lo sguardo triste e sconfitto. Che senso aveva averlo, se non potevo usarlo? Mi vennero le lacrime. Non di rabbia, ma di delusione pura.
Dopo un po’, mamma si avvicinò e disse: “Facciamo una cosa. Scendi giù e io ti guardo dal balcone. Ma solo per dieci minuti, e solo se mi prometti che rimani sul marciapiede. La strada è pericolosa, passano le automobili.”
Accettai subito. Scendere con il monopattino era come partire per un viaggio. Facevo avanti e indietro sul marciapiede, da una punta all’altra, sotto lo sguardo vigile di mamma affacciata. All’inizio andavo piano, con cautela. Era la prima volta. Poi mi presi di coraggio. Il vento leggero, il rumore delle ruote sul cemento, il sole che scaldava le braccia. Era libertà.
E sì, fu più di dieci minuti. Ma mamma non disse nulla. Mi guardava, e io lo sentivo: quel suo sguardo era una carezza, un confine, una promessa.
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