Le borse erano piene: asciugamani arrotolati, tovaglie a quadretti, crema solare che profumava di cocco. Tutto l’occorrente per una giornata al mare, come se bastasse quel piccolo inventario per costruire la felicità.
Io la guardavo, mentre sistemava ogni cosa con gesti sicuri. Era il suo modo di dire: “Ti proteggo, anche tra le onde.”
Io non sapevo ancora nuotare, andavo poco al mare. Mia cugina, anche se più piccola, usava già i braccioli. Facevamo castelli di sabbia mentre mamma e zia Anna parlavano fitto fitto, con quella complicità che solo le sorelle hanno.
Il sole scendeva lento, e io pensavo che forse, un giorno, avrei imparato a nuotare. Ma per allora, bastava la sabbia.
Poi arrivava papà, stanco dal lavoro ma felice di vederci. Si sedeva al tavolino con lo zio e gli amici, e giocavano a carte. Il sole calava piano, e arrivava l’ora del rientro.
Salivamo sulla Cinquecento di mamma, quella bianca con un riflesso verde acqua, il primo modello. A casa, mamma mi faceva il bagnetto per togliere il sale, mi metteva la canottiera e i pantaloncini bianchi, e andava a preparare la cena. Io, stanca ma felice, mangiavo e poi mi addormentavo nel letto dei miei genitori, con il cuore pieno di sabbia, mare e amore.
Quel giorno era volato. Diverso dagli altri, che scorrevano lenti e uguali. Quel giorno era una piccola vacanza dentro la vita.