martedì 2 settembre 2025

Sotto il letto di mio fratello

La stanzetta di mio fratello era un mondo a parte. Lui aveva dieci anni più di me, e una collezione di giornaletti che sembrava infinita. Io adoravo i fumetti della Disney: Qui, Quo, Qua, le Giovani Marmotte, e naturalmente Topolino. Ogni tanto me ne prestava qualcuno, e ci sdraiavamo insieme sul suo letto a leggere. Lui era immerso nei suoi gialli, io nei miei mondi colorati. Ma il momento più divertente arrivava quando la mamma mi chiamava: “Elena, vieni a mangiare la minestrina!” Io non volevo. Allora mi infilavo sotto il letto, trattenendo il fiato, e lui, complice, rispondeva: “Elena non c’è, è uscita.” La mamma prima si arrabbiava, poi rideva. E io, sotto il letto, ridevo anch’io.   

"Ci sono letti che diventano astronavi. E fratelli che sanno pilotarle con un sorriso."

Io, mio fratello e i giornaletti

Nella cameretta di mio fratello c’era sempre un’atmosfera speciale. Quella cameretta era il nostro mondo. Un luogo dove i fumetti diventavano portali, le coperte fortezze e l’amore fraterno una complicità silenziosa che ancora oggi mi scalda il cuore.


Il mio fratello radioamatore


Mio fratello radioamatore

Mio fratello era un vulcano di idee. Mi raccontava storie inventate, barzellette che mi facevano ridere fino alle lacrime, e indovinelli che mi lasciavano a pensare per ore. Ma la cosa più bella era che non ero solo sua sorella: ero la sua complice. Soprattutto quando faceva scherzi alla mamma. Io ridevo sotto i baffi, lui faceva finta di essere serio, e la mamma… prima si arrabbiava, poi rideva anche lei.

Aveva un talento naturale per la musica: suonava, canticchiava, improvvisava. Ma il suo mondo segreto era fatto di fili, circuiti e voci lontane. Era un radioamatore. Nella sua stanza c’era una ricetrasmittente anni ’80, con quel filo attorcigliato come una molla che sembrava vivo. Lo vedevo seduto lì, con le cuffie, a parlare con persone invisibili. Usava termini tecnici che per me erano formule magiche: 

“CQ CQ, qui I0XYZ, passo.” Non esistevano ancora cellulari o smartphone. Quello era il suo modo per viaggiare senza muoversi, per avere amici sparsi nel mondo, per sentirsi parte di qualcosa più grande.

Io lo guardavo, incantata. E pensavo che mio fratello fosse un po’ mago, un po’ astronauta, un po’ inventore. E io, la sua piccola assistente, pronta a seguirlo ovunque.


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