Il mio fratello radioamatore
Mio fratello era un vulcano di idee. Mi raccontava storie inventate, barzellette che mi facevano ridere fino alle lacrime, e indovinelli che mi lasciavano a pensare per ore. Ma la cosa più bella era che non ero solo sua sorella: ero la sua complice. Soprattutto quando faceva scherzi alla mamma. Io ridevo sotto i baffi, lui faceva finta di essere serio, e la mamma… prima si arrabbiava, poi rideva anche lei.
Aveva un talento naturale per la musica: suonava, canticchiava, improvvisava. Ma il suo mondo segreto era fatto di fili, circuiti e voci lontane. Era un radioamatore. Nella sua stanza c’era una ricetrasmittente anni ’80, con quel filo attorcigliato come una molla che sembrava vivo. Lo vedevo seduto lì, con le cuffie, a parlare con persone invisibili. Usava termini tecnici che per me erano formule magiche:
“CQ CQ, qui I0XYZ, passo.” Non esistevano ancora cellulari o smartphone. Quello era il suo modo per viaggiare senza muoversi, per avere amici sparsi nel mondo, per sentirsi parte di qualcosa più grande.
Io lo guardavo, incantata. E pensavo che mio fratello fosse un po’ mago, un po’ astronauta, un po’ inventore. E io, la sua piccola assistente, pronta a seguirlo ovunque.
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