Le impronte nere sul muro e la lezione imparata
Avevo cinque o sei anni quando vidi in TV il film La baronessa di Carini. Quella scena in cui la baronessa, uccisa dal marito geloso, lasciava l’impronta della mano sul muro mi rimase impressa come un marchio. Non riuscivo a togliermela dalla testa.
Un pomeriggio, mentre giocavo con Bongo nel ripostiglio, mi venne un’idea. Lì c’era l’armadietto delle scarpe di tutta la famiglia. Papà teneva dentro la pomata nera per lucidarle, la spazzola e i ritagli di stoffa. Io aprii quel contenitore come se fosse un tesoro proibito. Presi la spazzola, intinsi le mani nel lucido e me le sporcai tutte. Ricordo ancora l’odore forte, pungente.
Poi, con la serietà di un’attrice, andai nel corridoio e cominciai a lasciare impronte di mani sul muro, una dopo l’altra, dal ripostiglio fino al salotto. Mi sembrava di rivivere la scena del film. Io ero la baronessa, e quelle erano le mie tracce indelebili.
Mamma non si accorse di nulla. Ma quando papà tornò dal lavoro, vide subito il disastro: il ripostiglio in disordine, la pomata aperta, la spazzola a terra. Poi alzò lo sguardo e trovò le impronte nere sul muro. Non potevano essere di nessun altro se non mie.
Il suo volto cambiò colore. Mi sgridarono, e presi anche qualche schiaffo sulle mani e sul sederino. Io piansi, chiesi scusa, e capii che avevo esagerato. Papà dovette ridipingere tutto il corridoio.
Quel giorno imparai che i giochi hanno un limite, e che non tutto ciò che colpisce la fantasia può essere ripetuto nella realtà. Ma imparai anche che la mia immaginazione era più forte di me: bastava un film, un orsetto e un barattolo di lucido per trasformare un pomeriggio qualunque in una scena indimenticabile.
Tutti da bambini abbiamo combinato qualche marachella. A volte ci è costata una sgridata, altre volte una risata. Ma ogni piccolo disastro è diventato un ricordo che oggi ci fa sorridere. E voi? Qual è stata la vostra “impronta sul muro” che ancora ricordate?
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