mercoledì 30 luglio 2025

“La figlia di marzo”

La bambina invisibile


La mia mamma che mi stringeva teneramente fra le sue braccia

“La memoria non è polvere: è radice.” C’è chi nasce atteso. C’è chi nasce temuto. E poi c’è chi nasce dopo una ferita, come se il destino volesse ancora provare a fiorire. Così sono nata io: Elena Sandoval. Tra la nobiltà dimenticata e i sorrisi mancati, ho camminato sul bordo del cuore degli altri. E adesso, cammino al centro del mio.  

La luce era bianca, sospesa, e nella stanza si respirava un’attesa che non sapeva dove posarsi. Dopo dieci anni, nessuno aspettava più nulla. I vecchi panni di neonato erano stati regalati, dimenticati come le parole di un libro letto troppo presto. Eppure, quel giorno, le mani di mia madre tremavano mentre toccavano il nuovo corredino: filo bianco, nido di lana, profumo di lavanda. 

Io sono nata in una clinica dalle finestre alte, dove i rumori si spegnevano nel rispetto della vita che ricominciava. Lei mi ha stretto come si tiene una promessa troppo bella per essere vera. I suoi occhi erano increduli, ma le braccia sapevano già tutto. Mia madre non diceva nulla. Le bastava il silenzio del cuore.


Mio nonno, barone decaduto col cappello impolverato, aveva lasciato da poco il suo salone: tagliava i capelli ai vigili urbani, tra pettegolezzi e sigarette senza filtro. Quando seppe che ero nata, si alzò piano dalla sedia consumata e disse: "Le Sandoval sanno sempre quando fare ritorno." Nessuno capì se stesse parlando di me, o della dignità che aveva perduto.


Mio padre, instancabile operaio di giorni che finivano sempre troppo tardi, arrivò trafelato. Mi guardò come si guarda qualcosa che non si osa desiderare, e poi sorrise. Per la prima volta lo sentii vicino, senza fatica.


Gli zii, i cugini, le sorelle... arrivarono a uno a uno, con lo sguardo stropicciato e l’anima confusa. “Pensavamo che fosse finita,” dicevano. Ma io ero lì. Con gli occhi grandi, e nessuna intenzione di passare inosservata.

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