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venerdì 5 settembre 2025

Cartapesta, stoffe e fantasia: l’oratorio di mia sorella

Mia sorella era più grande di me di quattordici anni. Per me era un po’ come una seconda mamma, ma anche una figura magica, piena di idee e di entusiasmo. Faceva parte di un gruppo della parrocchia, dove si svolgeva l’oratorio. Lei e il suo ragazzo animavano le giornate dei bambini del quartiere, e io, piccola, ci stavo in mezzo come una mascotte silenziosa ma curiosa.



Organizzavano di tutto: mostre di disegno a tema, teatrini improvvisati, e soprattutto laboratori di marionette di cartapesta. Ricordo ancora l’odore della colla fatta in casa, il rumore delle mani che impastavano la carta, e la gioia di vedere nascere un volto da un mucchio di stracci e giornali. Ogni bambino partecipava, me compresa. Le marionette si dipingevano con colori vivaci, si vestivano con pezzi di stoffa recuperati da vecchi abiti, tende, ritagli. Ogni dettaglio era frutto di fantasia e collaborazione.

Poi arrivava il momento dello spettacolo. Il teatrino era fatto con teli appesi e bastoni di legno, e dietro le quinte c’era un fermento che sembrava quello di un vero palcoscenico. Si recitavano scenette divertenti, si cantava, si rideva tanto. Non c’erano microfoni, luci, effetti speciali. C’era solo la voglia di stare insieme, di creare qualcosa dal nulla, di sentirsi parte di un piccolo mondo.

Oggi, quando vedo certi giochi digitali o laboratori super attrezzati, penso a quel tempo in cui bastava un po’ di cartapesta, qualche pennello, e tanta immaginazione. E penso a mia sorella, con la sua energia contagiosa, che riusciva a trasformare un pomeriggio qualunque in un’avventura collettiva.

Era un modo per tenersi impegnati, sì. Ma era anche un modo per imparare a stare insieme, a condividere, a inventare. E io, piccola com’ero, mi sentivo grande ogni volta che la mia marionetta prendeva vita tra le mani.