Quando cantavo per Bongo
Da bambina, la mia casa era spesso attraversata da tempeste invisibili. I miei genitori litigavano di frequente, per soldi o per motivi che a me sembravano futili. Le loro urla si rincorrevano tra le stanze, e io mi sentivo sopraffatta, come se il mondo si stesse sgretolando attorno a me. Cercavo di farli smettere, gridando anch’io, ma era come se fossi invisibile. Così, quando il rumore diventava troppo, cercavo una via di fuga.
Avrei voluto che si aprisse un varco nel muro del corridoio, una porta magica che mi trasportasse in un luogo calmo, pacifico, fantastico. Quel varco non si apriva mai, ma nella vecchia casa al terzo piano c’era un piccolo ripostiglio che diventava il mio rifugio segreto. Aveva una finestrella alta e minuscola, da cui filtrava una luce gentile. Lì dentro, tra scatole e silenzi, trovavo la mia pace.
Prendevo Bongo, il mio orsacchiotto, e un cuscino, e mi rifugiavo nel ripostiglio. Era piccolo, ma ordinato. Vicino alla porta, c’era un tavolo coperto da una lunga tovaglia che arrivava fino a terra. Sollevavo quella coperta e mi infilavo sotto, immaginando di essere in una capanna, o in una tenda da campeggio. Chiudevo la porta, e il mondo restava fuori.
Lì sotto, iniziava il mio spettacolo. Cantavo per Bongo tutte le canzoncine dei cartoni animati che conoscevo. Ero la presentatrice, la cantante, la star. Bongo era il mio pubblico fedele, sempre attento, sempre presente. Cantando, non sentivo più le urla. Solo la mia voce, e il battito del cuore che tornava calmo.
Quel piccolo angolo nascosto era il mio rifugio, il mio palco, il mio mondo. E ancora oggi, quando penso a quel ripostiglio, sento la dolcezza di quelle note che mi proteggevano.
La capanna di Bongo
Nel corridoio urlava il vento,
tra mamma e papà, un battimento.
Io piccolina, cuore in pena,
cercavo pace, una scena serena.
Sognavo un varco nel muro grigio,
che mi portasse in un dolce rifugio.
Ma nella casa al terzo piano,
c’era un ripostiglio, piccolo e strano.
Con Bongo stretto tra le braccia,
e
un cuscino sotto la faccia,
entravo piano sotto al tavolo,
dove il silenzio era un regalo.
La coperta lunga come tenda
diventava il palco della leggenda.
Cantavo forte, senza paura,
le canzoncine, la mia armatura.
Bongo ascoltava, occhi attenti,
tra le mie note e i miei lamenti.
Io ero la star, la presentatrice,
in quel mondo fatto di voce e radice.
Le urla fuori si facevan lontane,
come onde spente, come campane.
Nel mio rifugio, sotto la stoffa,
trovavo pace, anche se goffa.
Ora che il tempo è passato via,
quel ripostiglio è poesia.
E ogni nota che cantavo allora,
vive nel cuore, ancora e ancora.
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