mercoledì 13 agosto 2025

La casa al terzo piano

La casa dove vivevo da bambina era al terzo piano di un palazzo anni ’50 
senza ascensore.
Ricordo ancora la porta d’ingresso, color avorio, 
che si apriva su un piccolo ingresso rettangolare.
Tre porte si affacciavano su quell’ingresso: 
la prima a destra era la stanza di mio fratello,
subito accanto, sempre a destra, la camera da letto dei miei genitori.
Di fronte a quella, una porta conduceva a un corridoio.



All’inizio del corridoio c’era una cucina minuscola, 
così piccola che sembrava fatta per le bambole.
 Il corridoio faceva una curva ad L, e sulla destra c’era un camerino, 
un ripostiglio con una finestrella alta, 
che lasciava entrare solo un filo di luce.

Proseguendo, sulla sinistra, c’era la porta del bagno. 
Un metro più avanti, l’ultima stanza: 
il salotto che tutti usavamo come stanza da pranzo. 
Lì, su un divano letto, dormivamo io e mia sorella. 
Quella stanza era  il nostro mondo notturno, 
tra cuscini  e sogni .

Ogni angolo di quella casa aveva una voce. 
Ogni porta aperta o chiusa raccontava qualcosa. 
E anche se oggi non esiste più per noi, poiché ci vive altra gente, 
io la porto dentro al cuore e nella mente.

La casa al terzo piano

Al terzo piano, senza ascensore,
viveva il tempo col suo tepore.

La porta avorio, un piccolo ingresso,
 tre porte in fila, un mondo complesso.

A destra mio fratello dormiva, 
nella stanzetta dove mamma cuciva.

Di fronte il corridoio si apriva, 
e la cucina piccina ci accoglieva viva.

Un camerino con finestra alta, 
dove la luce entrava e poi si spandeva.

Il bagno a sinistra, un metro più in là, 
e il salotto che la notte ci abbracciava già.

Sul divano letto, io e mia sorella, 
tra sogni leggeri e una stella ribelle.

Ogni stanza parlava, ogni angolo amava, 
e quella casa, nel cuore, ancora si respirava.

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