Ricordi di scuola, tra fiocchi bianchi e risate sincere
Il primo giorno delle elementari profumava di carta nuova, di matite appena temperate e di emozioni che non sapevo ancora nominare. Il grembiule blu mi pizzicava il collo, il fiocco bianco sembrava troppo grande per il mio petto piccolo. Ma io mi sentivo importante. Non ero più una bambina d’asilo: ero una scolara. Una piccola donna con grandi intenzioni.
La maestra si chiamava Maria. Aveva un gilet beige, una camicetta con i fiori e una voce che sapeva di miele e ammonimento. «Tu, con quella smorfietta, siediti al primo banco.» Io? Al primo banco? Perfetto. Da lì avrei potuto dominare la scena.
Poi arrivò il momento della foto. «Fate un bel sorriso!» Io non lo feci. Feci una smorfia. Una di quelle che dice: “Io so già come va il mondo.”
Quando la mamma vide la foto, si arrabbiò. «Perché hai fatto le smorfie? Lo sai che rimarrai così per sempre nel ricordo dei tuoi compagni?» Io la guardai, con la stessa smorfia. Perché lo sapevo. E mi piaceva.
Li facevo ridere. E quando ridevano, io mi sentivo luminosa. Come se il primo banco fosse un palcoscenico, e io la protagonista di una commedia che sapeva già come far breccia nei cuori.
E tu?
Hai una foto di classe che ti racconta? Hai fatto una smorfia, un sorriso timido, o eri quello che si nascondeva dietro il compagno più alto? Scrivimi, raccontami, condividi: perché le storie dell’infanzia sono le più vere, e le più luminose.
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